Avengers: Infinity War (id. 2018)

Cristina Resa
5 min readApr 25, 2018

Dieci anni, diciotto film, per prepararci a questo. Avengers: Infinity War di Anthony e Joe Russo, che ci accompagna verso la fine della fase tre del Marvel Cinematic Universe, è probabilmente il film che lo cambierà per sempre.

Sono passati due dagli eventi di Captain America: Civil War. Gli Avengers non esistono più. Steve Rogers (Chris Evans), Natasha Romanoff (Scarlett Johansson), Falcon (Anthony Mackie), Scarlet Witch (Elizabeth Olsen) e Visione (Paul Bettany) sono latitanti. Tony Stark (Robert Downey Jr.) sta cercando di mettere a disposizione ogni risorsa per proteggere il pianeta, sperando in un futuro in cui il mondo non abbia bisogno degli Avengers. Ma ora, non è più la Terra ad essere in pericolo, ma l’intera Galassia.

Thanos (Josh Brolin), il Matto Titano, la grande minaccia che incombe da una decade, sta arrivando per impossessarsi di tutte le sei Gemme dell’Infinito, in grado di conferire a chi le possiede poteri divini. Ogni supereroe, che sia umano, alieno, mutante, è chiamato a fare la sua parte.

Sono tanti i personaggi di questo Avengers: Infinity War, probabilmente molti di più di quelli che un film corale potrebbe permettersi. Tuttavia, i Russo riescono a gestire la situazione nel miglior modo possibile. Tagliano il superfluo, si inseriscono in modo estremamente efficace — soprattutto coerente — sulla scia dei precedenti film.

Le psicologie sono ormai stranote al pubblico, i rapporti tra loro sono stati costruiti. Non c’è tempo per le spiegazioni o le reunion, la guerra incombe. Basta, dunque, un accenno, una linea di dialogo, un breve commento musicale, per ricordarci l’evoluzione personale di ognuno degli eroi, così come lo abbiamo lasciato. Alcuni personaggi, bisogna dirlo, riescono ad emergere più di altri.

E così, Thor (Chris Hemsworth) è esattamente quello che abbiamo lasciato in Thor: Ragnarok, con la stessa ironia, ma rivestita di un profondo desiderio di vendetta. La cosa si riesce a percepire da una manciata di battute. Allo stesso modo il Bruce Banner (Mark Ruffalo) di Infinity War mostra chiaramente i segni di tutti i traumi subiti nel corso degli anni, senza che sia necessario spiegare alcunché.

Invece, gli effetti della tensioni di Civil War sono quanto mai evidenti su Tony Stark (Robert Downey Jr.), ancora più stanco, consumato da quella missione che si è autoimposto nel ruolo di Ironman, forse al di là delle proprie possibilità.

Persino Peter Parker (Tom Holland), che per gran parte del tempo sembra essere esclusivamente un elemento per alleggerire la narrazione, con le sue citazioni pop e il piglio giovanile di Spiderman: Homecoming, verso la fine pronuncia una singola frase in grado di farlo diventare un personaggio a tutto tondo, rappresentato con una tenerezza vista raramente nei film del MCU.

E se a Steve Rogers (Chris Evans) non viene concesso molto tempo, il suo intero arco narrativo viene sintetizzato in un solo, unico, fatto: ha smesso di essere, forse per sempre, Captain America.

I più penalizzati dalla sovrabbondanza di personaggi sono forse Scarlet Witch (Elizabeth Olsen) e Visione (Paul Bettany), il cui legame rimane molto sulla superficie, e Dr. Strange (Benedict Cumberbatch), in questo caso relegato al ruolo di spalla di Stark.

Anche a Black Panther (Chadwick Boseman) e a Vedova Nera (Scarlett Johansson) viene concesso pochissimo spazio. Al primo, tuttavia, viene data comunque una certa importanza nell’economia della storia scegliendo come campo di battaglia il regno di Wakanda di cui è simbolo. A Natasha, uno dei personaggi potenzialmente più interessanti del MCU, che avrebbe molto altro da dire, viene data la possibilità di esprimere se stessa direttamente sul campo di battaglia, in un paese, appunto Wakanda, dominato da figure femminili.

Avengers: Infinity War è anche in film in cui i Guardiani della Galassia fanno il loro ingresso nel mondo degli Avengers. L’umorismo è sempre lo stesso dei film di James Gunn, i pochi dialoghi sono ben costruiti, ma Drax (Dave Bautista), Rocker (Bradley Cooper), Groot (Vin Diesel) ormai adolescente e, forse in minor parte, Quill (Chris Pratt) in qualche modo risultano meno incisivi della Gamora di Zoe Saldana.

E qui, arriviamo finalmente al fulcro della questione. Il motivo per cui il personaggio di Gamora finisce per essere così cruciale nella storia che i Russo ci stanno raccontando. Perché, in realtà, c’è un solo, vero protagonista in Avengers: Infinity War: Thanos. Per la primissima volta nel Marvel Cinematic Universe il cattivo, in questo caso il villain per eccellenza, il burattinaio che ha guidato le sorti della galassia fino ad ora, riesce distinguersi, nascondendo dietro quell’ammasso viola in CGI un’inaspettata complessità psicologica.

Il Thanos di Josh Brolin è un leader dalla logica deviata, dalla crudele coerenza. Pazzo, spietato, ma non sadico per il solo gusto di esserlo. Ha un piano, un’orribile utopia da perseguire, ma è dilaniato dai terribili sacrifici che dovrà affrontare durante il suo cammino. E Gamora, sua figlia prediletta, in qualche modo è legata a doppio filo alla figura di questo padre adottivo tanto odiato, ma sempre suo padre. Anche lei è divisa tra sentimenti contrastanti verso le sue due famiglie (Thanos e Nebula da una parte, Quill e i Guardiani dall’altra) e la responsabilità per la salvezza della galassia.

Avengers: Infinity War è, come si può capire dalle premesse, un film cupo, disperato, quasi estenuante nel suo passare senza sosta da un personaggio all’altro, in un susseguirsi di scontri che mantengono il ritmo sempre altissimo. I 160 minuti scorrono in un lampo e il classico umorismo Marvel, quanto mai necessario e usato con misura, ha il compito far tirare il fiato, in una storia in cui non sembra esserci spazio per la speranza.

Anche la colonna di Alan Silvestri deve, per forza di cose, contribuire a questa atmosfera. E sebbene riporti la musica dei film Marvel ai vecchi standard un po’ anonimi — cosa che si fa decisamente sentire dopo i notevoli exploit sonori di Thor: Ragnarok e Black Panther — riesce bene a sottolineare i cambi di tono, anche senza farsi notare troppo.

Non è certamente spoiler dire che il finale, soprattutto per chi non è avvezzo ai meccanismi quasi mitici della narrazione a fumetti, sia a dir poco scioccante e, parere mio, di grande impatto visivo.

Originally published at https://www.loudvision.it on April 25, 2018.

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Cristina Resa
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Written by Cristina Resa

Ho studiato quel genere di cose che negli horror fanno fare una brutta fine. Scrivo di cinema e libri.