Scappa — Get Out (Get Out, 2017)

Cristina Resa
2 min readMay 18, 2017

Scappa — Get Out, scritto e diretto da Jordan Peele, si apre sulla strada di un tranquillo quartiere di periferia. Le case tutte uguali, i giardini curati. Il sogno americano. E allora perché Andre Hayworth (Keith Stanfiel), giovane afroamericano che sta camminando da solo in quella situazione di sicurezza apparente, all’improvviso ha così paura?

Al suo esordio alla regia, l’ex comico Jordan Peele si inserisce in quella tradizione portata avanti da George Romero, Tobe Hooper, John Carpenter e Wes Craven, proponendo un tipo di cinema di genere estremamente politico, in cui però il racconto non viene sacrificato in nome dell’allegoria. Cinema di denuncia, che non dimentica di essere anche opera di intrattenimento, anche molto divertente.

Il film si concentra su personaggio di Chris Washington (l’ottimo Daniel Kaluuya), fotografo e artista afroamericano di New York, invitato a passare un fine settimana nella tenuta di famiglia della sua fidanzata bianca Rose Armitage (Allison Williams). Chris teme che la relazione possa mettere a disagio i parenti della ragazza, ma i genitori Missy (Catherine Keener) e Deane (Bradley Whitford), si dimostrano fin da subito estremamente gentili, in modo quasi inquietante.

Get Out usa i generi — commedia, horror, fantascienza, thriller, — per parlaci di schiavitù, segregazione razziale, incarcerazione di massa, white privilege e appropriazione culturale. Lo fa con una storia dalla struttura semplice e lineare che ha un po’ il sapore della sci-fi anni ’60 e dei racconti di Richard Matheson, ma che nasconde un’anima satirica complessa e sfaccettata.

Così, il film di Jordan Peele prende una direzione ben precisa, abbracciando le istanze del movimento Black Lives Matter e scegliendo di concentrarsi sulla tematica del corpo. Il corpo come identità, come categoria antropologica. Il corpo sfruttato, violato, imprigionato, rubato. Corpi come strumenti, mi verrebbe da dire pensando a Le tecniche del corpo dell’antropologo Marcel Mauss.

In modo del tutto particolare, “Get Out” riesce a instaurare un dialogo a distanza con le altre opere di quest’anno che trattano lo stesso argomento.

In particolare, due documentari molto diversi per valore artistico, ma nati dalla stessa urgenza: 13h di Ava DuVernay, che traccia la storia di paese sviluppatosi a partire dall’iniquità sociale e lo sfruttamento dei corpi degli afroamericani; I’m not your negro di Raoul Peck, film documentario dall’incredibile potenza narrativa, basato sul manoscritto incompiuto di James Baldwin Remember This House.

Tre opere diversissime tra loro, che sono finita ad unire come i pezzi di un puzzle, svelando l’immagine di una situazione straziante, inaccettabile, che ci deve riguardare tutti.

Così, questo piccolo, ma potentissimo, horror a basso costo prodotto da Jason Blum racchiude in sé l’intera storia delle donne e degli uomini afroamericani e, in qualche modo, dell’America stessa.

Originally published at www.loudvision.it on May 18, 2017.

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Cristina Resa

Ho studiato quel genere di cose che negli horror fanno fare una brutta fine. Scrivo di cinema e libri.