The Witch, il “mondo magico” di Robert Eggers

Cristina Resa
5 min readDec 30, 2016

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«Gli spiriti non ci sono, ma ci sono stati, e possono tornare nella misura in cui abdichiamo al carattere della nostra civiltà, e ridiscendiamo sul piano arcaico dell’esperienza magica»: lo scriveva il noto etnologo napoletano Ernesto de Martino nel 1973 in quello che diventerà uno dei capisaldi della sua intera opera, Il mondo magico.

Oggi, dall’altra parte del mondo, Robert Eggers, giovane regista del New England, ci dà un assaggio di questo approccio, probabilmente senza nemmeno saperlo.

Come un cantastorie, con il suo bagaglio di credenze popolari e racconti, ci porta nel XVII secolo per narrarci una fiaba sulla streghe.

1630. New England. Il pio William (Ralph Ineson) viene allontanato dalla comunità puritana in cui vive a causa del suo fondamentalismo religioso. Insieme alla propria famiglia — la moglie Katherine (Kate Dickie), la figlia adolescente Thomasin (Anya Taylor-Joy), il figlio Caleb (Harvey Scrimshaw), i due piccoli gemelli Jonas (Lucas Dawson) e Mercy (Ellie Grainger) e il neonato Samuel (Axtun Henry/Athan Conrad Dube) — si stabilisce in una fattoria isolata ai limiti di un fitto bosco, per coltivare granturco. La sventura sembra abbattersi sulla famiglia quando il piccolo Samuel, affidato alla cure di Thomasin, svanisce nel nulla, trascinato via da un lupo o forse rapito da quella strega dei boschi che ritorna spesso nei racconti dei gemelli.

Realizzato con grande perizia tecnica, The Witch di Robert Eggers, vincitore del premio per la miglior regia al Sundance 2015 e arrivato nei cinema italiani quest’estate, è un film dalla straordinaria potenza visiva che guarda stilisticamente al cinema di Stanley Kubrick.

Si tratta certamente del lavoro consapevole e misurato di un autore dal grande talento espressivo, che confeziona un horror d’autore e d’atmosfera di rara bellezza, ipnotico, dall’oscurità abbagliante.

In realtà, The Witch è molto più di questo: racconto archetipico, interessante analisi dei meccanismi della suggestione, dramma familiare che affronta la delicata tematica della maternità e della discriminazione sociale e religiosa della donna.

Eggers, anche attraverso un attento e approfondito studio delle fonti, diari e atti pubblici dei processi dell’epoca, si affianca alla tradizione del folk horror inglese degli anni ’70 (The Wicker Man, La pelle del Diavolo ecc.), riuscendo, in un certo senso, a guardare oltre.

Non solo si impegna a ricreare l’ambientazione storica, costumi e rituali, ma sceglie di far esprimere i propri personaggi nell’inglese arcaico dei padri pellegrini, attingendo, per interi dialoghi, a stralci delle testimonianze trovare nelle sue minuziose ricerche.

In questa sua particolare attenzione verso la ricostruzione storico-religiosa, The Witch ricorda molto da vicino un capolavoro del cinema italiano troppo spesso dimenticato, Il Demonio (1963) di Brunello Rondi, che anticipò alcuni elementi del ben più celebre L’esorcista (1973) di William Friedkin. Nella pellicola di Rondi, infatti, tutto il complesso magico-rituale della Lucania era ricreato sulla base dell’indagine etnologica di Ernesto De Martino, riportata nel saggio Sud e Magia (1959)

Il demonio (1963)

Come dicevo, The Witch è molte cose, ma innanzitutto una fiaba, plasmata a partire dal complesso di tradizioni popolari nascoste in quei testi di persecuzione. Documenti preziosi per capire il meccanismo sacrificale, in quanto, per citare il filosofo francese René Girard e il suo celebre saggio Il capro espiatorio (1982), «raffigurano la loro vittima così come la vedono veramente, cioè colpevole».

La vicenda sembra, in un certo senso, costruita a partire dal classico schema di Propp: equilibrio iniziale; rottura dell’equilibrio; peripezie dell’eroe; ristabilimento dell’equilibrio. Tuttavia, il modello archetipico della fiaba dedotto dall’antropologo russo sembra in qualche modo rovesciato, mutato dall’intento critico dell’autore, laddove i ruoli sono capovolti e l’equilibrio viene ristabilito sovvertendo l’ordine pregresso.

Eggers, così facendo, sta cercando di dirci qualcosa di preciso su una società in cui è ancora molto sentita quella che De Martino chiama crisi della presenza, cioè il rischio di essere annullato da forze incontrollabili.

Una società, come scrive anche Girard, in cui «l’angoscia e le frustrazione collettive trovano un appagamento vicario in quelle vittime che facilmente suscitano l’unione contro se stesse», nella quale «i persecutori si chiudono nella logica della rappresentazione persecutoria e non possono più uscirne».

È proprio questo l’intento: mostrarci un mondo consumato dalla paura, dal tentativo di reprimere le pulsioni naturali e la sessualità, alla continua ricerca di un capro espiatorio, in cui la giovane Thomasin si trova intrappolata, nella fase della vita in cui tutto, dentro di lei, sta cambiando.

Tuttavia, come insegna anche De Martino, è possibile analizzare un fenomeno solo comprendendone la «funzione storica entro in quadro del dramma esistenziale magico».

Ed ecco, dunque, che Eggers ci mostra quella logica in tutta la sua violenza psicologica e fisica, ci porta fino al cuore del mondo magico, mettendo in scena la superstizione senza, almeno in apparenza, il filtro del pensiero razionale. Permettendoci, così, di ridiscendere sul piano più arcaico di quell’esperienza.

In questo, è certamente aiutato dalla splendida fotografia pittorica di Jarin Blaschke, realizzata interamente con luce naturale, dalle magistrali interpretazioni di tutto il cast (con una menzione particolare per il piccolo Lucas Dawson nella sequenza di possessione ed estasi mistica) e dall’evocativa colonna sonora di Mark Korven, che ci accompagna, con le sue melodie antiche e i suoi archi stridenti, in questa discesa negli anfratti più oscuri della tradizione popolare.

Dopo la visione, rimane addosso una sensazione di disagio densa, palpabile, che penetra sotto la pelle e fatica ad andarsene. Solo allora, dopo aver sperimentato il dramma esistenziale magico, aver incrociato lo sguardo con Black Phillip e aver visto le firme sul libro del Diavolo, siamo pronti a fare un passo indietro e comprendere fino in fondo la spietata analisi critica che Eggers fa della società puritana e, in qualche modo, della stessa natura umana.

Per approfondimenti

De Martino, Ernesto (1959). Sud e Magia. Feltrinelli

De Martino, Ernesto (2015). Sud e Magia. Biblioteca Donzelli — Edizione speciale con le fotografie originali di Franco Pinna, nuovi testi e documenti

De Martino, Ernesto (1973). Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Terza Edizione (2007). Universale Bollati Boringhieri. Bollati Boringhieri

Girard, René (1982). Il capro espiatorio. Settima Edizione (1999), Adelphi

Originally published at www.loudvision.it on December 30, 2016.

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Cristina Resa

Ho studiato quel genere di cose che negli horror fanno fare una brutta fine. Scrivo di cinema e libri.