Il folklore filmico di The Third Day

Cos’è il folk horror e come si colloca The Third Day, serie HBO/Sky creata da Felix Barrett e Dennis Kelly, all’interno del filone?

Cristina Resa
16 min readNov 17, 2020

Salt and soil. L’essenza di The Third Day è racchiusa in questa formula che gli abitanti dell’isola ripetono più volte nel corso della miniserie anglo-statunitense creata da Felix Barrett e Dennis Kelly e andata in onda su HBO e Sky.

Interpretata da Jude Law (Sam), Naomie Harris (Helen), Katherine Waterston (Jesse), Paddy Considine e Emily Watson (signori Martin), la serie si compone di sei episodi, tre dedicati a Sam , tre dedicati a Hellen.

Gli episodi della prima parte, Estate, sono diretti da Marc Munden, mentre a Philippa Lowthorpe è stata affidata la regia della seconda parte, Inverno.

Per dividere questi due “capitoli”, Barrett ha realizzato un episodio speciale lungo 12 ore, Autunno, trasmesso nel formato di evento “live” su Facebook e pensato come “grande evento teatrale immersivo”.

Una scelta interessante ma che non stupisce, se si indaga più a fondo sui talenti che hanno realizzato The Third Day: Felix Barrett è infatti il direttore artistico di Punchdrunk, una compagnia teatrale britannica riconosciuta a livello internazionale come modalità pionieristica per il pubblico di sperimentare la cultura. Dennis Kelly è invece lo sceneggiatore Britannico autore dell’Utopia di Channel 4.

E nonostante la serie tv abbia, a mio parere, qualche lacuna in fatto di scrittura, soprattutto quando sceglie di complicare inutilmente l’intreccio, sono convinta che The Third Day sia un prodotto estremamente interessante per le dialoga con la tradizione filmica in cui si inserisce.

Una scena di The Third Day, Estate

Folklore filmico e Folk horror

Per capire meglio The Third Day è necessario collocarlo in maniera precisa all’interno del sottogenere a cui appartiene: il folk horror. La miniserie di Barret e Kelly ambientata nella suggestiva isola di Osea, infatti, si pone fin da subito in stretta continuità narrativa e stilistica con uno dei capostipiti, The Wicker Man di Robin Hardy (1973) con Christopher Lee.

Mi sento però di fare una precisazione preliminare: quando parliamo di “folk horror” ci troviamo di fronte a un termine retrospettivo, tornato in auge tra studiosə e appassionatə grazie al documentario di Mark Gatiss della BBC A History of Horror (2010).

Il termine si riferisce a un sottogenere con precise caratteristiche, a cui Kill List (2011) di Ben Wheatley ha dato nuova forza propulsiva, tanto da essere stato, negli ultimi anni, declinato attraverso diverse esperienze culturali. Qualche esempio? The Witch (2015) di Robert Eggers ci porta in New England nel 1630, in una comunità puritana di coloni; Hagazussa (2017) di Lukas Feigelfeld in un villaggio del XV secolo sulle Alpi Austriache; The Wind (2018) di Emma Tammi nella frontiera americana; The Other Lamb (2019) di Małgorzata Szumowska in un luogo imprecisato una comunità interamente femminile è guidata da un Pastore; Midsommar (2019) di Ari Aster ad Hårga in Svezia, ma per parlare fondamentalmente dell’America di oggi. Solo per citarne alcuni recenti.

Studiosə come il critico cinematografico Mikel Koven (Università di Worcester) e l’anglista e documentarista Sharon Sherman (Università dell’Oregon) e il professore di storia e cultura cinese Juwen Zhang (Università di Willamette), ad esempio, nel già negli anni ’90, inizio 2000 hanno indirizzato i propri studi verso i temi del folklore rappresentato al cinema e del “cinema come folklore” (cioè come narrazione popolare e tradizione condivisa), ben prima che scoppiasse questa nuova “folk horror mania”.

Come lo definisce Zhang, ad esempio, «il folklore filmico (filmic folklore, ndr) è un folklore immaginario che esiste solo nei film. Si tratta uno spettacolo simile al folklore (folklore-like performance, ndr) che viene rappresentato, creato o ibridato nelle opere di fantasia. Prelevato dai contesti originali (sociale, storico, geografico e culturale), funziona in modo simile a quello rappresentato nei film etnografici [folkloric film, ndr] . Il folklore cinematografico impone o rafforza certi stereotipi (ideologie) e simboleggia certi significati, identificati come “verità” da un certo gruppo di persone» (Zhang, 2005, 263: in Sherman — Koven , 2007, p. 2).

Va da sé che il folklore filmico non debba necessariamente mettere in scena elementi etnografici reali, in quanto elemento di opere di fantasia. L’importante è che abbia una sua coerenza narrativa interna.

È interessante ripercorrere la storia di questi studi per capire quanto, nell’analizzare questo tipo di prodotti audiovisivi, siano tantissimi i fattori da considerare. Per sottolineare, soprattutto, quanto sia necessario elaborare una metodologia di studio per analizzare questo tipo di “film di argomento religioso”, che possa integrare la storia, l’antropologia, l’economia, la filosofia, la psicologia e la sociologia (Film Studies affiancati dai Cultural Studies, come sostiene anche Melanie J. Wright nel suo saggio Religion and Film: an introduction, 2006, anche se il suo è un approccio più “teologico” che “storicista”).

In anni recentissimi, la struttura del folk horror propriamente detto (che forse potremmo considerare un sottoinsieme del folklore filmico a cui allude Zhang), è stata codificata definitivamente dallo scrittore e regista Adam Scovell, nel suo saggio Folk Horror: Hours Dreadful and Things Strange (2017).

In questo caso, con Folk Horror si allude a un tipo di prodotto del tutto particolare, perché tradizionalmente legato a doppio filo al cinema horror britannico degli anni ’60 e ’70. Non solo opere pensate per il grande schermo: negli anni ’70 la BCC ha prodotto una grande quantità di folk horror per la tv (tra cui spicca in modo particolare Penda’s Fen di Alan Clarke, incluso nella serie Play for Today, per la sua natura politica e le tematiche LGBTQI+). È questo il filone a cui si ricollega direttamente a The Third Day.

Insieme al già citato The Wicker Man di Robin Hardy (1973), che possiamo considerare il prototipo di questa serie tv della HBO e Sky, Il grande inquisitore di Michael Reeves (Witchfinder General, 1968) e La pelle del diavolo di Piers Haggard (The Blood on Satan’s Claw, 1971) rappresentano i capostipiti del filone.

Non sono certo i primi film inglesi costruiti intorno al tema del folklore, ma sono quelli che hanno avuto il più forte impatto culturale e presentano tratti comuni sostanziali.

Le tre pellicole raccontano, con le dovute differenze, principalmente storie di persone governate dalla paura di essere annullate da forze incontrollabili. Un tipo di angoscia esistenziale che potremmo chiamare, prendendo in prestito la terminologia di Ernesto De Martino che mi sembra sempre appropriata, crisi della presenza (De Martino, 1973, p. 70–169), e che le diverse credenze magico-religiose puntano a esorcizzare («la protezione della presenza dai rischi della crisi esistenziale di fronte alle manifestazioni del negativo», De Martino, 1959, p. 96).

Questa crisi, in un certo senso, credo sia anche l’elemento al centro di The Third Day, declinato ovviamente con modalità e risultati differenti. Ma andiamo con ordine.

Questa crisi, in un certo senso, credo sia anche l’elemento al centro di The Third Day, declinato ovviamente con modalità e risultati differenti. Ma andiamo con ordine.

Scovell parte proprio da questi tre film fondamentali, che lui stesso chiama l’«unholy trinity» del cinema britannico, per elaborare il concetto fondamentale di Folk Horror Chain.

Folk Horror Chain

In sintesi, in ogni folk horror si possono trovare una serie di «tratti narrativi che hanno conseguenze causali e interconnesse» (Scovell, 2017, p. 14). Gli elementi della catena identificata da Scovell sono: paesaggio, isolamento, alterazione del sistema morali e etico, l’avvenimento/evocazione in cui culmina la narrazione.

Il paesaggio, inteso come luogo di ambientazione ma anche terra, sense of soil, “senso del terreno”, come lo chiama Piers Haggard nell’intervista inclusa in A History of Horror di Gatiss (“salt e soil” continuano a ripetere anche gli abitanti dell’isola di Osea), è sempre al centro di questi horror. Agisce sia come elemento funzionale del meccanismo narrativo, sia come vero e proprio protagonista, il cui destino è strettamente legato a quello dei personaggi.

Spesso, ma non sempre, l’elemento paesaggistico è caratterizzato da una forte enfasi sull’elemento rurale (rurality), descritto da Scovell come «il ribaltamento della realtà diegetica» (Scovell, 2017, p.8) in grado di «deformare la realtà stessa dei suoi mondi narrativi” (Scovell, 2017, p.81). Così, nella maggior parte dei folk horror la realtà contemporanea e elemento rurale — considerato qualcosa di altro, lontano dalla quotidianità — vengono mescolati per, produrre un effetto volutamente straniante, fuori dal tempo e dallo spazio.

Questa sensazione è direttamente collegata al secondo elemento della catena. L’isolamento dei protagonisti in un luogo ostile è certamente tipico di qualunque film dell’orrore, ma nei folk horror si tratta di una condizione condivisa da tutti i personaggi, interni e esterni alla comunità rappresentata. L’isolamento è tanto fisico, direttamente collegato al luogo, quanto psicologico e produce effetti sul sistema etico dei personaggi. In questo stato di alienazione, essi talvolta sviluppano un nuovo senso di appartenenza, mentre vengono condotti verso all’avvenimento conclusivo.

Ora questa struttura si può ritrovare in entrambe le parti trasmesse in tv di The Third Day, Estate (con protagonista Sam/Jude Law) e Inverno (Hellen/Naomie Harris). Tuttavia, bisogna notare i primi tre episodi dedicati al viaggio di Sam, Il padre, il figlio e lo spirito, ripropongono il modello del folk horror quasi in maniera pedissequa, mentre negli episodi in cui è raccontato il viaggio di Hellen, La madre, La figlia e L’oscurità, il modello viene stravolto.

La protagonista fa un percorso inverso e non sviluppa alcun senso di appartenenza. Anzi, il suo è un cammino iniziatico simile a quello di Sam, ma antitetico (come antitetica è anche la caratterizzazione del suo personaggio). Ma ci torneremo.

Una scena di The Wicker Man (1978)

The Third Day e The Wicker Man

Come dicevo, la serie di Barrett e Kelly si pone in continuità in particolare con uno dei film dell’Unholy Trilogy, The Wicker Man, non solo per motivi di struttura, ma anche di contenuto.

Tratto dal romanzo Ritual (1967) di David Pinner e ispirato da un classico dell’antropologia come Il ramo d’oro James Frazer, il film diretto da Robin Hardy e scritto da Anthony Shaffer racconta la storia di un uomo che arriva su un’isola in cui vive una comunità isolata dal mondo esterno, esattamente come in The Third Day.

In questo caso di tratta di Neil Howie, un sergente di polizia che si reca sull’isola di Summerisle in cerca d’una bambina scomparsa di cui gli abitanti negano l’esistenza. Howie, cristiano episcopale ed estremamente puritano, è oltraggiato nello scopre che gli abitanti dell’isola praticano una forma di paganesimo celtico. A capo della comunità c’è Lord Summerisle, nipote di un agronomo vittoriano che, per rendere gli isolani più appagati e quindi produttivi, li ha convinti che avere fede negli antichi dèi avrebbe trasformato un’isola sterile in un paradiso agricolo. Inutile dire che la storia, per Neil Howie, non finirà bene e sarà coinvolto su malgrado in una celebrazione rituale, chiamata May Day, considerata fondamentale per la prosperità dell’isola.

Anche Sam, nel primo episodio The Third Day, si reca su un’isola in cui la comunità vive seguendo una religione non istituzionale. Questa volta non si tratta di paganesimo, ma di un tipo di cristianesimo sincretico, in cui sopravvivono elementi del folklore celtico per-romano e sassone (la migrazione anglosassone in Inghilterra è avvenuta verso il V secolo e il loro rimane il sistema di credenze dominante fino alla cristianizzazione dei suoi regni intorno al VII e l’VIII secolo).

Una religione fittizia, come su Summerisle, creata ad hoc da Frederick Nicholas Charrington, di professione birraio, proprietario l’isola di Osea al largo della costa di Maldon, nell’Essex dal 1903.

La storia di Charrington è in parte reale: l’industriale fondò qui un centro di cura per persone con dipendenze da alcol e oppiacei. Naturalmente, la religione di Osea è invece un’invenzione degli sceneggiatori della serie tv.

Nella finzione narrativa della serie tv, Charrington assunse il ruolo di guida spirituale dell’isola, il Padre, che venne trasmessa nel corso delle generazioni ai suoi discendenti.

Sam arriva sull’isola proprio durante i preparativi di una celebrazione chiamata Esus and the Sea (Esus e il mare), in cui la divinità gallica Esus viene assimilata alla figura di Gesù Cristo.

In ogni caso, anche la storia The Third Day, come quella The Wicker Man, ruota intorno alla costituzione contemporanea di una religione dai tratti pagani, usata come strumento di controllo. Nel film di Hardy, tuttavia, la riflessione socio-politica era predominante, perché venivano contrapposti direttamente due sistemi sistemi etici.

Hardy aveva un chiaro interesse nel paragonare visione cristiana e pagana, per sottolineare come l’una fosse lo specchio dell’altra, seppur la prima repressa dalla morale puritana e l’altra liberata dalle istanze della controcultura (ma creata per scopi capitalistici e coloniali). Non esistono buoni o cattivi nel film di Hardy, ma solo l’idea che la religione — o meglio la religiosità, intesa come partecipazione a un ideale religioso — sia il più potente strumento di controllo.

Se ci pensate, accade qualcosa di analogo nel recente Midsommar di Ari Aster, in cui viene contrapposto l’individualismo capitalistico degli studenti americani (in un certo senso, una nuova forma di religiosità collegata comunque al cristianesimo statunitense) allo spirito comunitario, legato alla terra e al ciclo naturale delle stagioni, che regola la vita degli abitanti di Hårga.

Ma ad Hårga, come su Summerisle, le ombre (in questo caso della xenofobia) si nascondono in bella vista. Sono evidenti nel trattamento riservato agli ospiti non caucasici e nel ruolo ricoperto, suo malgrado, da Ruben, figlio dell’endogamia. Si rivelano uno lo specchio dell’altro nel rapporto con l’alterità.

In questo senso, non ho colto nessuna contrapposizione evidente in The Third Day tra il “dentro” e il “fuori”. Tuttavia la serie tv sposta il conflitto all’interno della comunità, contrapponendo una religiosità di tipo patriarcale a una matriarcale (Gesù che presenta tratti di Esus/Maria collegata simbolicamente alla Sheela-na-gig), che, in un certo senso, condividono le stesse dinamiche di potere.

Scena da Midsommar (2019)

Da qui potrebbero esserci SPOILER sulla trama di The Third Day

Il folklore immaginario di Osea

Come accennavo, gli abitanti di Osea credono in un cristianesimo sincretico, in cui sopravvivono elementi del folklore celtico e sassone, che rimandano direttamente alla storia dell’isola.

Osea, effettivamente, vanta una lunga tradizione storica: The Causeway, la strada che la collega alla terraferma ed è percorribile a seconda delle maree, è stata costruita dai Romani, che usavano l’isola come una salina, oltre 2000 anni fa. In seguito, l’’isola pare abbia subito un’invasione vichinga, diventando un luogo di sepoltura sacro. Fu poi riconquistata dai Sassoni nel 991 d.C. durante la Battaglia di Maldon.

Quello del sincretismo religioso è certamente un fenomeno tipico nella storia delle religioni che si sviluppa in seguito a forme di contatto tra diversi sistemi culturali e ideologici, che si sovrappongono a quelli già esistenti e ne assimilano le caratteristiche.

Nel guardare i sei episodi che compongono la miniserie, così come è stata messa in onda, la costruzione folklorica sembra a tratti un po’ confusa. Tuttavia, è nell’evento trasmesso dal vivo di 12 ore, Autunno, che il folklore filmico, proprio nella definizione che dà Zhang, si concretizza e acquista una propria dimensione.

Ed è un peccato che questa esperienza immersiva, capace di superare la stessa idea di marketing virale, espandendo l’universo narrativo di The Third Day, sia considerata accessoria per motivi — comprensibili certo — di difficoltà di fruizione. Only the brave, come si dice!

Ciononostante, guardare Autunno nella sua totalità non rappresenta solo un’esperienza interessante per l’indubbia eccezionalità dell’impresa dal punto di vista tecnico, ma anche narrativo. La diretta live riesce a mantenere inalterato anche il registro stilistico della serie e, al di là del suo formato inusuale, ci racconta delle storie.

I fatti che avvengono in Autunno sono importanti per comprendere l’arco narrativo del personaggio di Sam e molti degli eventi delle tre puntate dedicate a Hellen in Inverno.

Come accennato, nella religione fittizia di Osea sono presenti elementi elementi pre-cristiani: i caratteri del dio gallico Esus, ad esempio, vengono sovrapposti a quelli di Gesù, con tanto di iconografia che richiama le due tradizioni.

Grazie alla spiegazione Jess (antropologa interpretata da Katherine Waterston) nel primo episodio, gli autori ci forniscono le coordinate principali di questo sistema di credenze. Gli isolani, infatti, sono devoti a una trinità celtica composta da Taranis (dio de tuono), Toutatis (dio della guerra) ed Esus, quest’ultimo assimilato talvolta con Marte, talvolta con Mercurio.

Esus viene rappresentato come un Cristo impiccato invece che crocifisso in relazione a una tradizione che prevedeva che i suoi sacrifici umani fossero appesi a un albero.

Per questo particolare gli autori hanno sicuramente preso ispirazione dai Pharsalia di Lucano (61 d.C. circa), unico testo in cui viene menzionata questa triade divina.

Questa dubbia usanza è realmente registrata nello Scholia Bernensia ai Pharsalia, in cui l’autore sostiene che vittime umane sacrificate a Esus fossero, appunto, legate a un albero e flagellate a morte. Tuttavia, dato che la documentazione di quelle tradizioni ci arriva esclusivamente attraverso l’interpretazione romana e nella Gallia pre-romana non esistevano né templi né immagine, non ci siano evidenze che queste tre divinità fossero principali del pantheon celtico (Brelich, 1991, p. 231–235). In ogni caso, questi elementi hanno una certa coerenza all’interno del folklore cinematografico di The Third Day.

La sovrapposizione di Esus con Gesù è un altro elemento che gli autori prendono dalla storia: il revivalista druidico del XVIII secolo Iolo Morganwg identificò Esus con Gesù sulla base della somiglianza dei loro nomi ( Iolo Morganwg, 1862. Questa identificazione, in realtà considerata casuale, è ancora molto in voga in alcuni circoli neo-druidici.

A noi, naturalmente, non interessa quali di questi dati siano o meno confutabili storicamente e archeologicamente (certamente non lo sono), ma in che modo gli autori della serie abbiamo preso questi elementi e li abbiano usati per costruire un folklore filmico coerente.

Tutte le 12 ore di Autunno vengono costruite, così, sull’identificazione tra le due figure divine. Il festival creato per l’occasione da Felix Barrett, con la sua compagnia Punchdrunk, viene chiamato “Esus and the Sea” e consiste, sostanzialmente, nella rappresentazione della Passione di Cristo.

È interessante però notare come tale rappresentazione sacra acquisisca in questo caso i connotati di un rito di passaggio tribale: una serie di momenti rituali ricalcati su quelli principali degli ultimi giorni di Cristo (Ultima Cena, preghiera nel Getsèmani, arresto, processo, percorso verso il Golgota, crocifissione, deposizione nel sepolcro, resurrezione), ma filtrati attraverso la sensibilità pagana del sistema di credenze di Osea. Salt and soil. “Sale e terreno”, mare e terra.

Si tratta di prove che Sam deve superare per diventare il nuovo Padre, il capo spirituale dell’isola, e portare prosperità a quella che è considerata dagli abitanti “l’anima del Mondo” («se Osea è malata, anche il mondo è malato»). Una morte rituale che culmina in nella nascita di qualcosa di diverso: il Padre.

Per tutta la durata del festival Esus and the Sea, la musica, come spesso accade in contesti rituali, assume riveste un significato profondo. Si tratta di un elemento centrale anche nella rappresentazione degli usi di Summerisle in The Wicker Man, pellicola ricca di potentissimi momenti musicali, in particolare ai canti, che contribuiscono non solo ad arricchire il folklore filmico del film di Hardy, ma anche a impostarne le atmosfere. La colonna sonora di The Wicker Man, composta da Paul Giovanni and Magnet, ha dunque funzione narrativa (Kraus, 2018). Lo stesso credo possa valere anche per Autunno la musica, in cui sono presenti sia la musica diegetica che quella extradiegetica. In particolare, assistiamo a un toccante momento rituale in cui la cantautrice Florence Welch, che nel corso della celebrazione interpreta Veronica, intona un inno a Esus.

Scena da The Third Day, Autunno. Fonte: HBO

Riti di passaggio

Interessante notare come queste prove siano affrontate annualmente anche dai giovani dell’isola, in una sorta di rituale di iniziazione all’età adulta. Come avviene per i veri riti di passaggio, è possibile riconoscere anche in “Esus in the Sea” una fase di «margine», nella quale si entra tramite la «separazione» e dalla quale si esce mediante rituali di «aggregazione» (Van Gennep, 1919, p. 128-144).

In un certo senso, se Autunno rappresenta il culmine (ultimo anello della Folk Horror Chain) del percorso di Sam, nel quale scende a patti con la propria condizione, a Hellen succede lo stesso alla fine dell’ultimo episodio della serie, L’oscurità.

Durante il suo cammino sulle orme di Esus vediamo infatti Sam trascinare una barca piena di rovi per tutto il cammino verso la croce sul “suo” Golgota, che in questo caso è rappresentato da un palo piantato nel bel mezzo al mare. Alla fine del viaggio di Hellen, la vediamo trascinare un’imbarcazione con a bordo le figlie, nel tratto di mare che divide Osea dalla terra ferma, rischiando l’ipotermia. E in un certo senso, attraverso una condizione simile alla morte, ma un percorso inverso a quello di Sam (allontanandosi dall’isola) anche lei riesce a scendere a patti con i traumi del passato.

Allegoria della perdita

Uno dei temi centrali di The Third Day è quello della perdita, questione spesso affrontata in altri film nella new wave horror e anche al centro di Midsommar. Lì, come in The Third day, l’elaborazione del lutto costituisce uno degli elementi di riflessione più ampia sulla perdita di una persona cara, di una relazione, della salute fisica e mentale, delle direttrici etiche. Dani, la protagonista di Midsommar interpretata da Florence Pugh è in crisi con il compagno Christian e sconvolta da una terribile tragedia familiare.

E anche in The Third Day, come in Midsommar, il focus sembra indirizzato verso l’isolamento psicologico, più che fisico. Sam, dopo la morte del figlio soffre di paranoia e Sindrome Post Traumatica, una condizione psicologica che purtroppo grava sulla moglie Hellen e le altre due figlie.

E se Sam rappresenta la sfera irrazionale ed emotiva, Hellen è un personaggio razionale, ma che proprio a causa del ruolo che si è autoimposta non è in grado di elaborare il proprio lutto.

Il personaggio di Sam è qualche modo affine a quello di Dani in Midsommar proprio perché sceglie, nonostante tutto, di abbracciare la nuova comunità. Hellen rappresenta quasi una novità, da questo punto di vista, perché l’arrivo a Osea non produce un mutamento nel suo sistema di valori e credenze, ma una rivendicazione della propria individualità: un’occasione per tagliare i ponti con il passato, in questo caso rappresentato dal marito Sam, e intraprendere un nuovo cammino. Ancora una volta, The Third Day raccoglie l’eredità del Folk Horror come osservatorio privilegiato di esperienze antitetiche.

Bibliografia

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De Martino, Ernesto (1973). Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Terza Edizione (2007). Universale Bollati Boringhieri. Bollati Boringhieri

De Martino, Ernesto (1959). Sud e Magia. Feltrinelli/ (2015) Biblioteca Donzelli Edizione speciale con le fotografie originali di Franco Pinna, nuovi testi e documenti

Kraus, Sharron (2018). Subtle Magic and the Thrill of The Wicker Man in Folk Horror Revival: Field Studies, Second Edition, Wyrd Harvest Press

Morganwg, Iolo (1862, ed. J. Williams Ab Ithel). The Barddas of Iolo Morganwg, Vol. I.

Scovell, Adam (2017). Folk Horror: Hours Dreadful and Things Strange, Auteur Pub

Sherman ,Sharon R. — Koven, Mikel J. (2007). Folklore/Cinema: Popular Film as Vernacular Culture, Utah State University Press

Van Gennep, A. (1909). Les Rites de Passage. Tr. it. I riti di passaggio (2012), Torino: Bollati Boringhieri. Paris: Dunod.

Wright, Melanie J. (2006). Religion and Film: an introduction, Tauris Academic Studies

Zhang, Juwen (2005). Filmic folklore and Chinese cultural identity. Western Folklore 64 (3–4): 263–80.

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Cristina Resa

Ho studiato quel genere di cose che negli horror fanno fare una brutta fine. Scrivo di cinema e libri.